Abbattimento delle barriere architettoniche e sicurezza sul luogo di lavoro: sintesi o divergenza?

Buongiorno a tutti, consentitemi di ringraziare gli organizzatori – il dottor Cervellini e il collega Daniele Marra in particolare – per il coinvolgimento e per l’invito, che mi consente di tornare in una terra e su un argomento che mi sono molto cari.

È necessario considerare la cultura dell’inclusione non un vezzo etico ma un reale valore aggiunto – per tutte le organizzazioni – dal punto di vista della valorizzazione delle competenze del singolo e di tutti, che porti al miglioramento della produttività generale.

Venendo al tema che mi è stato assegnato, di che cosa parleremo?

  • Normativa generale sulle barriere architettoniche;
  • Sicurezza sul lavoro
  • Ipotesi di funzione del Disability Manager

Per completezza del quadro è necessario definire preliminarmente cosa siano e cosa si intenda per accessibilità e per barriere architettoniche.

Le barriere architettoniche, ragionando sul dato normativo, sono gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di spazi, attrezzature o componenti.

L’accessibilità quindi è la caratteristica di un dispositivo, di un servizio, di una risorsa o di un ambiente d’essere fruibile con facilità da una qualsiasi tipologia d’utente.

Il termine è comunemente associato alla possibilità per persone con ridotta o impedita capacità sensoriale, motoria o psichica, ossia affette da disabilità sia temporanea che certificate, di accedere e muoversi autonomamente in ambienti fisici (per cui si parla di accessibilità fisica), che però non riguarda solo i disabili o, almeno non dovrebbe.

In base alla giurisprudenza più recente l’ampia definizione di barriera architettonica e di accessibilità rende la normativa di riferimento immediatamente precettiva ed idonea a far ritenere prive di qualsivoglia idonea giustificazione la discriminazione o la situazione di svantaggio in cui si vengono a trovare le persone con disabilità.

L’accessibilità è quindi divenuta una qualitas essenziale perfino degli edifici privati di nuova costruzione ad uso di civile abitazione, quale conseguenza dell’affermarsi nella coscienza sociale del dovere collettivo di rimuovere preventivamente ogni possibile ostacolo alla esplicazione dei diritti fondamentali delle persone con disabilità (Cass. 1°Civile Ord. 17138/2023).

Il combinato disposto della sentenza citata in uno con la più recente giurisprudenza comunitaria induce a ritenere che rientri nel concetto di discriminazione per causa di disabilità il rifiuto degli o di un accomodamento ragionevole e dunque anche il mancato abbattimento delle barriere architettoniche (CGUE sentenza C 631-2022 del 18.1.2024)

È un concetto che si sviluppa all’interno del diritto internazionale del lavoro, da cui l’attualità del nostro incontro di oggi.

Eliminare le barriere – fisiche o meno – nei luoghi di lavoro è il primo passo per garantire a tutte e a tutti pari dignità, come lavoratori e come cittadine e cittadini.

Va considerato infatti che spesso non sono il comportamento o la prassi a creare lo svantaggio ma il fato che non sia stata prevista una diversità di trattamento a favore dei disabili, atta e necessaria per ristabilire l’uguaglianza ed evitare la discriminazione.

Le disposizioni cui attenersi però non sono le stesse per tutti i luoghi di lavoro e per capire quale tra i requisiti di accessibilità, visitabilità o adattabilità debba essere rispettato va verificato se si applica o meno al caso concreto l’obbligo di collocamento mirato, in assenza del quale è sufficiente rispettare il requisito dell’adattabilità.

Inoltre se si tratta di attività aperta al pubblico deve rispettarsi il criterio della visitabilità e ad almeno un servizio se la superficie netta è superiore a 250 mq.

Rammentiamo che l’art. 63 del TU 81/2008 stabilisce che i luoghi di lavoro devono essere strutturati tenendo conto se del caso dei lavoratori con disabilità, tenendo conto anche delle disabilità c.d. sopravvenute.

Perciò porte, vie di circolazione, scale, servizi igienici, segnaletiche e postazioni di lavoro usati o occupati da personale con disabilità devono essere strutturati tenendo in considerazione primariamente la loro sicurezza, con la garanzia della piena uguaglianza – tramite gli accomodamenti ragionevoli.

Per rendere il luogo di lavoro accessibile alle persone con disabilità nel rispetto della loro professionalità e dignità non sempre sono necessari interventi su larga scala.

A volte – più spesso di quanto si pensi – bastano piccole modifiche o cambiamenti di tipo gestionale.

Può trattarsi ad esempio di una diversa distribuzione dei parcheggi, dell’installazione di un corrimano, di strumenti hardware o software dedicati o ancora di una scrivania regolabile.

Sono accomodamenti che vanno concordati nel rispetto delle specifiche esigenze individuali tenendo conto dell’attività lavorativa concretamente svolta e delle residue capacità motorie e/o sensoriali.

Non vi può essere un’elencazione esaustiva poiché normalmente ci si basa sull’adattamento ad esigenze che sono necessariamente individuali.

La sfida, oggi, è non mollare il lavoro ma fare in modo che l’ambiente lavorativo sia salutare e ispiratore di crescita. Ecco perché diversità e inclusione, ben lungi dall’essere uno slogan, diventano oggi strumenti di management indispensabili.

Risulta quindi fondamentale che si preveda la figura del DM, in qualunque luogo di lavoro, magari anche in forma consorziata, per gestire le esigenze delle PMI sui diversi territori, che si tratti di una figura ben conosciuta e raggiungibile dall’intera compagine aziendale (sia le strutture di HR che la dirigenza che i lavoratori)

È anche necessario dunque porsi una domanda: quali azioni concrete può mettere in atto il disability manager per garantire l’empowerment dei lavoratori con disabilità?

Gli ambiti di azione possono essere molteplici.

Di seguito qualche esempio, certamente non esaustivo:

  • È necessario che il disability manager si assicuri che l’azienda adotti politiche di assunzione inclusive anche al di la degli obblighi di legge;
  • In sede di colloquio e necessario che gli intervistatori abbiano una formazione specifica e che conducano interviste obiettive, senza pregiudizi e con il rispetto delle necessità specifiche del candidato;
  • Serve che l’intera comunità lavorativa sia sensibilizzata sui temi dell’inclusione e dell’empowerment, anche con corsi pratici sulla gestione della disabilità e sulla comunicazione;
  • Previsione di specifici programmi di tutoraggio che aiutino a creare opportunità di crescita professionale e a sviluppare competenze, anche tramite la strutturazione di piani di carriera individuali focalizzati su aspirazioni ed obiettivi ma anche su esigenze fisiche ed organizzative del lavoratore con disabilità;
  • Monitoraggio ed individuazione di eventuali disparità nell’inserimento e nella carriera con sviluppo di strategie mirate al loro superamento.

Questo allo stato dell’arte ma vi è ancora molto da fare e da poter immaginare.

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